Tra gli esercizi che mi è capitato di osservare durante il laboratorio ce n’è uno il cui misterioso nome è “fi-ri-n-to-te-ti-vo”. Nel diario di bordo, della cui stesura mi sto occupando, ho giocato con le parole iniziali di questo esercizio per raccontare i detenuti. Potrei fare lo stesso con me.
Fi(ato). Dare fiato a quanto vogliamo dire, spesso, non è facile. È nelle parole stesse il primo limite da superare. Nella scrittura, infatti, bisogna autoimporsi delle regole, scegliere di cosa e come parlarne, operare una scelta che lasci fuori altre possibilità. Nella stesura del diario ho dovuto optare per un punto di vista, escludendone altri. Anche in questo semplice post dovrò farlo. Limite #1
Ri(tmo). Il ritmo è “una serie di eventi (sonici) con inerenti durate ed eventuali pause”. Per il nostro laboratorio dentro il carcere, siamo ovviamente soggetti a degli orari e ad una durata prestabilita, oltre la quale non possiamo andare. Il vero limite è, però, una volta usciti. Sono le pause fuori e non le durate dentro, a limitarci. Tra un incontro e l’altro, quello che c’è fuori mi distrae, mi allontana da quanto vivo in quelle ore, in quello spazio, con quelle persone e quando mi ritrovo a parlare di una determinata sensazione, emozione, immagine, questa è già svanita. Limite #2
(n) (tutto quello che può ancora accadere e che neanche io so o immagino). Limite #3
To(no). Tra i vari significati di tono, mi servo di quello riguardante l’ambito pittorico. In pittura il tono è “il passaggio di colore dall’ombra alla luce”. I limiti a volte non vanno accettati ma superati. Tirar fuori i nostri detenuti dall’ombra alla luce sarà una metafora banale, ma lo è meno se la applico a me stessa. Molte volte entrare nella palestra ad osservarli è stata, per me, la luce rispetto all’ombra di una mattinata a scuola, che – credetemi – talvolta è molto più complessa, difficile, emotivamente provante di una giornata in carcere. Limite #4
Te(mpo). Quanto tempo posso e devo dedicare a questo progetto? È difficile, difficilissimo giostrarmi tra tutto quello che quotidianamente devo o scelgo di fare. A volte è frustrante dover rinunciare a concentrarmi su questo laboratorio, dividerlo tra tanti frammenti di cose… Limite #5
Ti(mbro). Riuscirò a dare il mio timbro, la mia impronta al diario che sto scrivendo, senza essere retorica, noiosa, ridondante? Limite #6
Vo(ce). Ognuno di noi operatori ha la sua voce. Ogni detenuto la propria. C’è chi sa “urlare”, chi sussurra sommessamente, chi fa finta di averne un’altra. Riuscirò a raccontarle tutte, con la verità con cui racconterò me stessa? Limite #7
“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”… prendo in prestito le parole di Pirandello per chiedermi, e chiedere a voi, quanto vi sarà arrivato attraverso questo post e quanto sia, invece, rimasto solo dentro di me. Limite #8

Joseph Kosuth Significato