Il teatro ha annientato il mio più grande limite: la parola. Io non parlavo, non è che ero muta, ma non parlavo proprio, avevo paura, avevo vergogna. Presto ho scoperto che il teatro era la situazione ideale per me, potevo nascondermi dietro le parole, i pensieri e le emozioni di altre persone ed allo stesso tempo potevo mostrarmi, senza ritegno, senza paura, senza vergogna. Solo giocando ad essere chi non sei capisci cosa puoi essere.
Sono una degli ultimi arrivati nel progetto “Limiti” ed ho come la sensazione di non aver studiato per un esame importante, come se mi mancasse un capitolo. Intorno a me sento parlare di docu-film, ispettori, autorizzazioni, liberatorie e un po’ mi preoccupo. Un progetto così articolato, così importante ed io mi sento così inutile. Poi si comincia a parlare di scene, personaggi, costumi, palchi, attrezzeria e mi risollevo. Il mio capitolo, quello del teatro, l’ho studiato!
Le regole sono rigide. Siete donne in un ambiente prevalentemente maschile. Abbigliamento decoroso, atteggiamento fermo, sguardo truce e lessico pronto. L’elenco dei divieti, i rumori delle chiavi che girano, dei cancelli che si chiudono, dei metal detector che suonano impazziti mi annebbiano la vista. Sono passati solo dieci minuti da quando siamo entrati in carcere e già sono nel pallone. Alla fine mi ricordo che non ho fatto nulla di male e persino il metal detector smette di suonare. Seguo il gruppo (siamo in molti tra operatori e poliziotti) attraverso corridoi, cancelli, stanze, cortili e ancora corridoi. La palestra è come tutte le altre palestre: solito pavimento verde, solita rete da pallavolo, solito palcoscenico. Quest’ultimo può sembrare insolito ad un occhio esterno, ma in una realtà ormai quasi priva di teatri è normale veder spuntare palcoscenici nei posti più impensati. Finalmente qualcosa di familiare, un palco. È divertente osservare le reazioni di chi ci sale per la prima volta, nessuno ha mai il coraggio di venire avanti, restano sul fondo, schiacciati alle quinte, fingendo di essere invisibili.
Anche i più estroversi non riescono ad alzare troppo lo sguardo. Devo ammetterlo, non mi aspettavo una così numerosa partecipazione, certo l’attenzione e la concentrazione vanno e vengono ma presto diventeranno costanti, credo. Il gruppo è molto vario, sia in termini di nazionalità che come personalità. Nessuno di loro ha la vocazione artistica, nonostante la presenza di alcuni veterani del palcoscenico, un poeta/disegnatore ed un cantante/calciatore. Siamo uno svago, un po’ di ore passate fuori dalla sezione, siamo chiacchiere scambiate con chi sta fuori: – come vanno di moda i cappelli fuori? posso provare la tua sciarpa? qui non ce le fanno tenere… che avete fatto questo fine settimana? spettacoli? ma tu fai proprio questo di mestiere? – Bisogna procedere con calma, per gradi, il teatro è un mondo troppo diverso e troppo strano, non possiamo spaventarli, sennò non ci capiscono. La cosa difficile da spiegare è come gli esercizi sul fiato, sulla camminata, sullo sguardo possano essergli d’aiuto quando interpreteranno un personaggio che cammina, respira e pensa in maniera diversa dalla loro.
Ancora più difficile è fargli capire che dovranno fare cose che normalmente non farebbero, tipo piangere, emozionarsi ecc. La difficoltà insormontabile poi è rappresentata dalla fiducia: – io non mi fido di nessuno! l’ultima volta che mi sono fidato sono finito qua dentro! non mi fido nemmeno di mia mamma- Non si fideranno però gli esercizi li fanno, gli piacciono e vogliono anche ripeterli per farli meglio: – secondo te come la dico questa battuta? dimmi la verità ma esce bene il mio personaggio? ma poi il pubblico si vede dal palcoscenico? – Lentamente in maniera impercettibile siamo scivolati dall’essere gente di fuori che si incontra con gente dentro, ad attori che si confrontano su uno spettacolo, il teatro è un mondo a parte e può esistere dovunque.