C’era un posto. Al secondo piano. Dove, per arrivarci, si saliva una scala. Stretta. Claustrofobica.
C’era un posto. Al secondo piano. Dove lo spazio era solo nostro. Quello spazio che tu avevi chiamato Casa Strindberg.
C’era un posto. Al secondo piano. Dove la porta doveva stare socchiusa. E su quella porta era affisso un cartello. Il cartello che avevi scritto tu. Su carta di recupero. Con la penna presa dal gilet.
C’era un posto. Al secondo piano. Dove ci si liberava dal chi eravamo. Per diventare unici. E diversi. Chiamati da altri nomi. Commossi da altri gesti. Sospinti da altre ragioni.
C’era un posto. Al secondo piano. Dove leggevamo Strindberg. Con paziente sacralità.
C’era un posto. Al secondo piano. Dove il tempo vestiva un’altra dimensione. Dove le parole risuonavano in altre vesti.
C’era un posto. Al secondo piano. Con quel cartello subito visibile. Su quel cartello avevi aggiunto “Suonare”. E quell’aggiunta era il tuo modo di proteggermi. Da ciò che eravate stati. Fuori da lì.
E’ rimasto il cartello. Sgualcito. E perplesso. Sulle sorti che ciascuno ha preso. Fuori da quel mondo costretto.
E’ rimasto il cartello. Profondamente convinto. Che quel nostro tempo condiviso non è andato perduto.
Di Quando Mi Hai Chiesto Chi Diavolo è Questo Strindberg.
