“C’era una volta… favola di un limite”

Quando per la prima volta tanti anni fa, oltrepassai i fatidici sette cancelli mi ritrovai di fronte un gruppo di persone che davano alla parola “teatro” un’accezione alquanto diversa rispetto a quella che ne davo io….”E’ nu tiatro !” (è un teatro) è il modo che avevano per etichettare un litigio, uno scherzo, un vivace quadretto di vita familiare, una spettacolare dichiarazione amorosa; niente a che spartire dunque con Sofocle, con Pirandello, Shakespeare. Lo stesso Eduardo, icona di Napoli, onnipresente in migliaia e migliaia di quadretti dozzinali in compagnia di Totò, Troisi e Pulcinella in ogni ristorante o barberia napoletana, per alcuni (non pochissimi in verità) è solo il nome di un amico, di un parente, di un conoscente. Quando una volta domandai ad un detenuto di Castellammare di Stabia cosa ne pensasse del suo celebre concittadino Raffaele Viviani la sua risposta fu “ chi se fa’ e fatte suoie campa mille anni”. Oppure quando i pensieri si fanno oppressivi ed il malumore prende il sopravvento “ tengo cierti tiatri p’a capa” …un’espressione che diecine di volte nel corso degli anni  mi sono sentito opporre da qualche allievo detenuto reduce da un’udienza di tribunale, da un colloquio andato male con i parenti, da un momento di depressione per sottolineare che nella vita ed in certi momenti ci sono cose più importanti del teatro; personalmente non sono d’accordo ma il mio pensiero è quello di una minoranza infinitesimale sia dentro che fuori le mura. Tuttavia io sono convinto di non dover vendere la mia “merce” a tutti i costi e che il mio obiettivo attraverso il “Progetto Limiti” non sia quello di creare adepti per la setta di Melpomene, o assicurare generazioni di fruitori diretti e/o indiretti dell’arte scenica ma di contribuire attraverso la frequentazione di quest’arte alla presa di coscienza della propria personalità, delle proprie capacità e perché no… dei propri limiti.

Se uno nella vita si pone l’obiettivo di assaltare un carro blindato che trasporta milioni di euro oppure entrare di notte in una villa isolata e dopo aver violentemente immobilizzato i proprietari portare via la cassaforte con i valori oppure vendere quante più bustine possibili di una sostanza stupefacente o di stroncare l’esistenza di un’altra persona perché ti hanno pagato per farlo effettivamente la coltivazione di un interesse culturale sarà per questa persona un fatto del tutto marginale ed in mancanza di una proposta (quale per esempio Limiti) addirittura inesistente.

Eppure nella mia piccola esperienza qualche esempio confortante pure trova spazio: in fondo all’aula in cui si svolgeva il corso teatrale una volta c’era un detenuto che osservava con aria beffarda gli esercizi di mimo eseguiti dai suoi “colleghi”; ricordo come fosse adesso la sua espressione sprezzante ed il movimento del capo in segno di diniego opposto al nostro invito a partecipare al lavoro o i sorrisetti di scherno con cui accompagnava l’impegno degli altri allievi che meticolosamente compivano gli esercizi assegnati o con grande sforzo di concentrazione si cimentavano nelle prove della scena di una commedia o nella recitazione di una poesia; nessuno di noi operatori si scoraggiò perché la sua presenza in quell’ambiente era una prova implicita del suo interesse in quanto la partecipazione ai corsi era volontaria e dunque non soggetta a nessuna forma d’obbligo.

Non vi racconterò della sua storia, di come cambiò idea, di quello che fece dopo aver cambiato idea e di cosa rimane della sua attività delinquenziale vi dico solo che dopo aver scritto un libro autobiografico, diversi spettacoli teatrali di cui è stato pure interprete e dopo aver girato due film adesso ci darà una mano in “Limiti” e lo farà da operatore, da uomo libero. Se esiste un luogo dove è possibile auscultare il suono delle corde più intime, delle pulsioni più autentiche e nello stesso tempo più nascoste della nostra personalità, un luogo dove sviluppare l’attitudine all’ascolto degli altri, un luogo dove misurare le proprie capacità e scoprirne di nuove ogni giorno attraverso l’analisi lucida e spietata dei propri difetti, un luogo dove è possibile accettare la propria esistenza ed i relativi chiaroscuri attraverso il gioco del vivere vite altre e diverse… quel luogo è il palcoscenico.  Voglio dire in definitiva che chi nasce in un certo ambiente e si trova a crescere in una certa situazione familiare e a frequentare naturalmente persone abituate a vivere di crimine sottovalutando o trascurando addirittura altre possibilità esistenziali difficilmente potrà sfuggire ad un certo destino ma…  ” Anche se molto è stato preso, molto aspetta; e anche se
Noi non siamo ora quella forza che in giorni antichi
Mosse terra e cieli, ciò che siamo, siamo;
Un’eguale indole di eroici cuori,
Fiaccati dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà
Di combattere, cercare, trovare, e di non cedere.”
dall’Ulisse di A.Tennyson.

C'era una volta... favola di un limite

Michelangelo Fetto presidente della cooperativa Solot Compagnia Stabile di Benevento in prova per il progetto LIMITI con i detenuti della Casa Circondariale di Benevento a Marzo 2015 – foto: Gianpaolo De Siena